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Titolo Prospettive

 

Titolo Mezzojuso

 

Viaggi e miraggi non tutti nei paraggi

 di  Pino Di Miceli

Una nave con immigratiL’articolo sul naufragio della Utopia ci spinge ad effettuare una lettura a largo raggio sulle varie vicende di migrazioni che hanno interessato la nostra
comunità mezzojusara. Vicende, di cui, tra l’altro,
abbiamo già scritto su questo bimestrale. Per iniziare,
alcuni periodi: XV secolo, fine XIX secolo, anni ’60 del
XX secolo, 1990 e giorni nostri.
Intorno alla metà del XV secolo comincia la diaspora di
albanesi e di altre popolazioni balcaniche verso le sponde
occidentali dell’Adriatico e dello Ionio. Già all’inizio del
secolo si erano avute in Sicilia presenze di contadini albanesi, ma si trattava di casi sporadici. Con il processo di ottomanizzazione del Mediterraneo centro-orientale la diaspora diventa massiccia. Alcune date fondamentali per individuare meglio il periodo: nel
1453 cade Costantinopoli sotto Maometto II; nel 1468 muore Giorgio Kastriota Skanderbeg. Tutta la fascia orientale della penisola italiana riceve questa ondata migratoria. Alcuni gruppi oltrepassano lo Stretto e si fermano in Sicilia, specialmente nella parte interna della
Val di Mazara, ma non solo. Inizia così il fenomeno della fondazione-rifondazione di nuove città. L’interno della regione si presenta fortemente spopolato, molti casali risultano abbandonati, un centinaio nella parte occidentale dell’isola. Continue guerre e vari episodi di contagio della peste hanno aggiunto altre distruzioni.
L’arrivo di questi esuli può prospettarsi benefica per l’economia
isolana. Da parte delle autorità locali l’accoglienza dei profughi albanesi è benevola, come si può evincere dai Capitoli. Ma della traversata marittima non si hanno notizie, e poche sono quelle che si riferiscono alla primissima accoglienza da parte delle popolazioni locali. Subito si presentano alcuni problemi, non del tutto risolti nel tempo. Alcune cronache dell’epoca parlano, ad esempio, di episodi di abigeato e di sconfinamento di greggi-mandrie operati da pastori albanesi, che terrorizzano le popolazioni. Semplice cronaca o primo tentativo di costruzione di stereotipi identificativi di una popolazione
nuova per le campagne siciliane?
Nave con profughi albanesiSu questo primo periodo di coesistenza
tra le due popolazioni (siciliana e
albanese) esistono, come ormai appurato, pochi documenti e tutti prodotti da “esterni”, in genere relazioni di prelati, purtroppo non tutti ben analizzati. Ma “il” problema che monta imperioso è costituito dalla diversità religiosa, di rito cioè. Beh, su questo argomento non mi soffermo, tanta è la letteratura prodotta in mezzo millennio. Il problema però ancor oggi non sembra del tutto risolto se è vero, come è vero, che
episodi legati a questo aspetto si ripresentano con scadenza periodica. Dal punto di vista sociale gli albanesi sembrano integrarsi con i siciliani, al di là di qualche norma che assegna ai primi determinate cariche pubbliche: i matrimoni misti, ad esempio, aumenteranno sempre più. Saltiamo alcuni secoli ed arriviamo
alla fine dell’Ottocento. Il progresso sembra toccare anche il nostro paese. Negli anni del naufragio dell’Utopia è da poco in funzione la tratta ferroviaria Palermo-Corleone, che passa per la stazione di Mezzojuso raggiunta per mezzo della carrozza di ‘Ntria Achille. Da lì a poco migliorerà l’illuminazione pubblica, con i nuovi fanali a petrolio. Nel novembre del 1893 verrà fondato anche da noi un Fascio dei Lavoratori. Ma le ombre, culturali ed economiche, non vengono sconfitte. Tra quelle culturali vogliamo segnalarne solo alcune, molto identificative del contesto: una superstizione cieca, il tentativo di licenziare parecchi insegnanti per fare economia (a volte ritornano, eccome!) e il continuo scontro tra greci e latini per la gestione delle processioni della Settimana Santa. Tutto ciò mentre si afferma - quasi per contrasto - una generazione di intellettuali e professionisti
entrati ormai nella storia non solo locale. Tra le ombre economiche, l’inizio del grande esodo, della grande emigrazione verso le Americhe. Se diamo uno sguardo alla composizione dei gruppi di passeggeri in partenza dal nostro paese ci accorgiamo del fatto che essi sono sia greci che latini: ciò indica innanzitutto una forte integrazione ma anche una stessa sorte economica, cioè la miseria.
Mezzojusari in AmericaL’ondata continua per diversi anni e
viene frenata solo nel periodo fascista. Alcuni emigrati rientrano ben presto,
o per difficoltà nel trovare lavoro o
perché l’obiettivo prefissato è un
altro: accumulare quel tanto che possa servire per l’acquisto di una casa o di un terreno. Quest’ultima impresa, chiaramente, non riesce per tutti. Ormai Mezzojuso ha perso memoria di questa prima ondata di diaspora. Restano lunghe serie di genealogie pubblicate in alcuni siti web con in appendice nuovi messaggi in bottiglia, piccoli grandi SOS di ricerca di parenti. A volte i discendenti di quegli emigrati scrivono al Comune di Mezzojuso o agli uffici parrocchiali alla ricerca di documenti per completare le genealogie di cui sopra. Ma capita anche di vederli arrivare in taxi, dopo essere approdati a bordo di una nave da crociera al porto di Palermo. Approfittano di qualche ora di sosta per visitare Mezzojuso.
Vincenzo Di MiceliUno me lo son visto davanti, in piazza, una domenica mattina. Parlava evidentemente solo in inglese. Era un Di Miceli, Vincent Di Miceli, e si dichiarava contentissimo di aver trovato un altro Di Miceli. Un veloce scambio di informazioni con l’aiuto di un amico, una foto, un abbraccio, un saluto e via. L’attendeva il taxi. Altro salto. Siamo tra la fine degli anni ’50 e la fine di quelli che - per nostalgia? - molti chiamano i “favolosi” anni ’60 del secolo scorso. Mezzojuso si risvuota. Accanto alla meta ormai ritenuta tradizionale (America), adesso ci sono due nuove aree: il Nord-Ovest italiano e le aree più industrializzate dell’Europa centrale. Con un picco verso l’Australia subito dopo il terremoto del 1968, grazie anche ad incentivi di quel governo. Tra la fine degli anni ’50 e la fine dei ’60 Mezzojuso perde quasi un migliaio di abitanti. L’apice del numero degli emigrati si avrà nel 1962. Non ci fermiamo sull’emigrazione di questo periodo i cui aspetti sono stati meglio studiati e per la quale siamo in contatto con testimoni diretti. Va evidenziato però qualche aspetto su cui forse a Mezzojuso non si bada come si dovrebbe. I figli e soprattutto i nipoti di questi emigrati iniziano a tagliare i ponti con la nostra comunità. Gli appuntamenti estivi, così scrupolosamente osservati per un paio di decenni, con gli emigrati che riempivano
le strade, il corso e la piazza di Mezzojuso e ci facevano scoprire comportamenti e riti per noi ancora non del tutto metabolizzati (le ferie e il mare soprattutto) sono cessati da tempo. Quella cultura che con evidente virgolettatura devo definire “siciliana” vissuta all’inizio anche per autoidentificarsi, per fare comunità, ormai si è fusa omologandosi con quella delle popolazioni locali. E non è raro incontrare figli e nipoti di emigrati che hanno sposato idee dichiaratamente antimeridionali.
1990. Da qualche anno gli scricchiolii si trasformano in terremoto e crolla l’Est europeo comunista. Sembra tutto molto lontano da Mezzojuso. Ma ecco che nei Tg italiani iniziano a comparire immagini delle navi carrette piene di albanesi che attraccano a Bari. Il governo italiano e moltissimi comuni di fondazione albanese concordano di far sistemare (provvisoriamente?) una parte di quella massa dalla nostre parti. Ma scoppia il finimondo. Stiamo parlando di appena un ventennio fa. Poiché i fatti sono recenti e un’analisi più accurata ha bisogno di maggiore distanza tanto cronologica quanto emotiva, cito solo alcuni elementi. L’accoglienza risulta molto ambigua, duplice: accanto a chi mette a disposizione braccia e mente in un’opera di volontariato, c’è chi grida subito all’untore.
Molti albanesi, appena possono, vanno via, al Nord e in America. Sono pochissimi quelli che si fermano da noi. Su più di cento albanesi ospitati a Mezzojuso - in strutture pubbliche o da privati con il concorso finanziario dello stato o a volte per gratuito volontariato - sono rimaste solo due o tre famiglie.
Gli albanesi d’Albania mettono a dura prova la cultura arbresh. Avviene un riposizionamento che continua ancor oggi: parte del mondo culturale, accademico e del volontariato instaura strettissimi legami con l’Albania. Una parte, forse quella più piegata sul fattore “rito”, reagisce diversamente. Qualcuno si autoconvince di essere più albanese degli albanesi (sic!) ed intanto sulla vecchia denominazione “italo-albanesi” prende il sopravvento quella di “arbresh”. Ripeto, sono dei fenomeni molto recenti, ma denotano un qualcosa che andrebbe con calma analizzato.
Ricordo, a proposito dello scontro tra Serbi e Kossovari, la valutazione del nostro vescovo Ferrara: “Con i Serbi ci unisce la fede, con i Kossovari il sangue”. Ritorniamo ai nostri giorni.
I mezzojusari, soprattutto giovani e a volte con tanto di laurea, tornano ad emigrare verso le regioni del centro nord italiano. Un altro numero considerevole di famiglie si trasferisce a Palermo. Il centro storico di Mezzojuso si spopola. Ma arrivano moltissime rumene, assieme a qualche famiglia di nordafricani. Da un lato il Sud  che non decolla e dall’altro l’aumento dell’età media degli italiani senza una corrispondente politica sociale creano questa situazione. E questa è cronaca di oggi. Lo scopo di questo scritto è esclusivamente quello di raccontare in breve mezzo millennio di immigrazioni emigrazioni che riguardano la nostra comunità. Gli spunti di riflessione non hanno risposte immediate, evidentemente. Ma possono servire per capire meglio quando “noi” eravamo considerato “loro” o quando - speriamo di no - potremmo essere nuovamente considerati “loro”.



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